È stato presentato ieri nel Palazzo Banca d’Alba ad Alba (CN) il progetto “Alta Langa DOCG: anima di un territorio” che coinvolgerà alcuni tra i più importanti sommelier di Torino, Milano e Genova. Queste le prime tre tappe di un viaggio nel quale l’Alta Langa DOCG si racconterà nella sua vocazione di “vino gastronomico” in abbinamento alle specialità dei cuochi delle trattorie storiche delle terre alte di Langa.
Seduti attorno a un tavolo, in un clima conviviale di scambio e confronto, gli ospiti di questi eventi saranno guidati alla scoperta delle Alte Bollicine Piemontesi e dei sapori più autentici dell’Alta Langa e incontreranno alcuni degli osti più rappresentativi dello spirito di questo territorio. Nei primi tre appuntamenti saranno coinvolti al fianco del Consorzio Piermassimo Cirio (Trattoria Madonna della Neve di Cessole), Gemma Boeri (Osteria da Gemma di Roddino) e Vilma Forneris (La Vecchia Osteria di Castellino Tanaro).
“A fronte della crescita della denominazione, il Consorzio prosegue la sua assunzione di responsabilità verso il territorio di origine e allo stesso tempo adotta delle azioni a più ampio raggio che permettano di far conoscere l’autenticità e la bellezza dell’Alta Langa attraverso la chiave di lettura gastronomica: coinvolgere in questo viaggio le osterie storiche delle terre alte, essenza e presidio del territorio, è per noi un grande orgoglio” dice il direttore del Consorzio Alta Langa, Paolo Rossino.
Anche nella scelta di queste mete gastronomiche c’è un valore di sostenibilità. Ciò che il Consorzio intende condividere con gli ospiti degli appuntamenti tra Torino, Milano e Genova – nelle atmosfere sabaude come in una terrazza in cui si respira il profumo del mare – è il senso di benessere, di piacere, di appagamento che solo questi osti sanno regalare.
Queste le parole di Luciano Bertello, autore ed editore del cofanetto “Alta Langa – Civiltà della Tavola e Genius Loci”, e tra le anime del progetto:
Nella remota Torresina, all’Osteria Mollo (1876), il potagé e i ravioli di Santina regalano emozioni uniche. A Briaglia la Trattoria Marsupino (1901) è un elogio lega le colline del vino alla montagna, in un ambiente di rilassante gradevolezza. A Cossano Belbo, alla Trattoria della Posta Camulìn (fine Ottocento), siamo nel mito dei tajarìn. Nella Cravanzana della nocciola, la Trattoria Mercato da Maurizio, (1902) è un altare a tre generazioni di cuoche. Mauro ed Ezio, alla Trattoria del Peso (1912) di Belvedere Langhe, curano lezioni di Langa per animi educati. Il bonét della Trattoria Belvedere (inizio Novecento) di Serravalle Langhe è una delle più belle cartoline delle terre alte di Langa. Chiunque voglia scoprire lo spirito non solo della cucina di Langa ma della Langa stessa, deve passare ad Albaretto della Torre da Filippo e Silvia (Filippo oste in Albaretto, inizio Novecento): nelle due stanzette e nell’attiguo giardino si respira il mito. I gonfiotti di Clelia (Trattoria Salvetti, 1920) raccolgono i saperi di tre generazioni di cuoche nella Paroldo delle “masche dròle”. Il vitello tonnato di Silvana a Murazzano (Trattoria Da Lele, 1933) è la bella storia di caparbie e intraprendenti langhette. Alla “Madòna dla Cuca” (Ristorante Madonna della Neve, 1952) di Cessole è Piera a perpetuare la tradizione degli agnolotti “del plìn” cotti al fumo e serviti “alla curdunà” o su tovagliolo di lino. Il vecchio potagé, la cucina “a ògg”, il piatto campagnolo di Annita (Trattoria della Posta Da Geminio, 1954), a Olmo Gentile, sono poesia della “selvosa” Langa astigiana. L’anima della cucina di Vilma (Vecchia Osteria, 1962), a Castellino Tanaro, sta nel sapore culturale della “Lela”, il pane povero non lievitato cotto nella cenere del focolare o sulla piastra del potagé, compagno dei tempi della malora. A Bergolo, Emilio (‘L Bunet, 1982) presenta un concetto moderno di tradizione, con la cucina di mamma Angela e i macaron del frét accanto alle sorridenti contaminazioni di Janeth. A Roddino da Gemma (Osteria Da Gemma, 1986) si respira la cultura del tajarìn in modo totalizzante.
In questo scrigno di valori che hanno reso possibile il riscatto dalla malora, è racchiusa la certezza che la civiltà di osteria dell’Alta Langa non è perduta.